Il factoring internazionale

Le possibilità di instaurare rapporti di cessione del credito non sono limitate ai soli operatori italiani. Il factoring internazionale è previsto e regolato dalla convenzione Unidroit di Ottawa, stilata nel 1988 e siglata dall’Italia nel 1993. Perché sia ammissibile, il credito ceduto deve essere originato da una transazione tra un venditore e un acquirente che abbiano sede in due Paesi diversi. È il credito stesso, quindi, ad essere di stampo “internazionale”, laddove il factor e il suo cliente possono avere sede nel medesimo Stato. L’accordo Unidroit richiede che l’origine del credito sia sempre ben definita e che derivi da contratti che rientrano nell’ambito della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci. In base alla normativa, il factoring internazionale deve necessariamente avere finalità di finanziamento, di garanzia contro l’insolvenza dei debitori o di gestione e riscossione crediti. Il factor può a sua volta cedere il credito a società terze aventi sede in Stati esteri; in questo caso, la convenzione stabilisce espressamente la possibilità di applicazione anche a transazioni verso Paesi non aderenti. Si parla di “export factoring” se il fornitore è un ha sede in Italia e opera con debitori stranieri, e di “import factoring” nel caso opposto, quando cioè il creditore abbia sede all’estero e i debitori siano italiani. La validità del contratto di factoring resta tuttavia legata alle singole normative nazionali, che presentano spesso elementi di conflitto con leggi di altri Stati e con la stessa Convenzione. Il limite principale dell’attuale disciplina della cessione del credito, quindi, può essere riscontrato in una mancanza di organicità e coerenza proprio a livello internazionale, dovuta al forte peso delle leggi nazionali nella determinazione delle fattispecie contrattuali ammissibili.
Le possibilità di instaurare rapporti di cessione del credito non sono limitate ai soli operatori italiani. Il factoring internazionale è previsto e regolato dalla convenzione Unidroit di Ottawa, stilata nel 1988 e siglata dall’Italia nel 1993. Perché sia ammissibile, il credito ceduto deve essere originato da una transazione tra un venditore e un acquirente che abbiano sede in due Paesi diversi. È il credito stesso, quindi, ad essere di stampo “internazionale”, laddove il factor e il suo cliente possono avere sede nel medesimo Stato. L’accordo Unidroit richiede che l’origine del credito sia sempre ben definita e che derivi da contratti che rientrano nell’ambito della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci. In base alla normativa, il factoring internazionale deve necessariamente avere finalità di finanziamento, di garanzia contro l’insolvenza dei debitori o di gestione e riscossione crediti. Il factor può a sua volta cedere il credito a società terze aventi sede in Stati esteri; in questo caso, la convenzione stabilisce espressamente la possibilità di applicazione anche a transazioni verso Paesi non aderenti. Si parla di “export factoring” se il fornitore è un ha sede in Italia e opera con debitori stranieri, e di “import factoring” nel caso opposto, quando cioè il creditore abbia sede all’estero e i debitori siano italiani. La validità del contratto di factoring resta tuttavia legata alle singole normative nazionali, che presentano spesso elementi di conflitto con leggi di altri Stati e con la stessa Convenzione. Il limite principale dell’attuale disciplina della cessione del credito, quindi, può essere riscontrato in una mancanza di organicità e coerenza proprio a livello internazionale, dovuta al forte peso delle leggi nazionali nella determinazione delle fattispecie contrattuali ammissibili.