Normativa

La normativa del factoring in Italia ha avuto un’evoluzione lunga e tortuosa. Le società di credito che per prime hanno offerto questo servizio facevano inizialmente riferimento agli articoli 1260 e seguenti del Codice Civile, dove si stabilisce che un creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito anche senza il consenso del debitore. La disciplina, però, non era sufficientemente specifica per introdurre in Italia, in maniera indolore, un’istituzione di stampo così tipicamente anglosassone. Per questo, le società direttamente interessate al factoring collaborarono per creare una commissione congiunta che elaborasse una legge ad hoc da proporre in parlamento. L’operazione è stata coronata da parziale successo, in quanto ha portato all’approvazione della legge 52 del 1991 in materia di “disciplina della cessione dei crediti di impresa” (interpretazione italiana dell’espressione factoring), con significative differenze rispetto a quanto previsto dalle analoghe normative anglosassoni ed europee. La legge 52/91 regola tutti i casi in cui il cedente è un imprenditore, i crediti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa, e il cessionario è una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. La caratteristica fondante, a differenza di quanto accade nel Regno Unito, non è quindi data dall’erogazione di servizi o dalla gestione del credito, ma dalla semplice cessione. Per questo, buona parte della giurisprudenza italiana ritiene che il factoring vero e proprio sia ancora oggi da considerare come un contratto atipico, mentre alcuni esperti ritengono semplicemente che la cessione di crediti nostrana sia disciplinata diversamente da quella inglese ma non per questo manchi di tipizzazione. Vi sono poi delle sentenze del Tribunale di Genova (risalenti rispettivamente al 1991, 1994 e 1995) che fissano alcuni punti ulteriori in materia, sancendo ad esempio che la causa del contratto di factoring non può prescindere dalle singole cessioni e non può quindi essere individuata in un mandato. Il decreto legislativo 385 del 1993, infine, disciplina le norme di trasparenza delle operazioni di factoring esercitate dai mediatori creditizi.
La normativa del factoring in Italia ha avuto un’evoluzione lunga e tortuosa. Le società di credito che per prime hanno offerto questo servizio facevano inizialmente riferimento agli articoli 1260 e seguenti del Codice Civile, dove si stabilisce che un creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito anche senza il consenso del debitore. La disciplina, però, non era sufficientemente specifica per introdurre in Italia, in maniera indolore, un’istituzione di stampo così tipicamente anglosassone. Per questo, le società direttamente interessate al factoring collaborarono per creare una commissione congiunta che elaborasse una legge ad hoc da proporre in parlamento. L’operazione è stata coronata da parziale successo, in quanto ha portato all’approvazione della legge 52 del 1991 in materia di “disciplina della cessione dei crediti di impresa” (interpretazione italiana dell’espressione factoring), con significative differenze rispetto a quanto previsto dalle analoghe normative anglosassoni ed europee. La legge 52/91 regola tutti i casi in cui il cedente è un imprenditore, i crediti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa, e il il cessionario è una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. La caratteristica fondante, a differenza di quanto accade nel Regno Unito, non è quindi data dall’erogazione di servizi o dalla gestione del credito, ma dalla semplice cessione. Per questo, buona parte della giurisprudenza italiana ritiene che il factoring vero e proprio sia ancora oggi da considerare come un contratto atipico, mentre alcuni esperti ritengono semplicemente che la cessione di crediti nostrana sia disciplinata diversamente da quella inglese ma non per questo manchi di tipizzazione. Vi sono poi delle sentenze del Tribunale di Genova (risalenti rispettivamente al 1991, 1994 e 1995) che fissano alcuni punti ulteriori in materia, sancendo ad esempio che la causa del contratto di factoring non può prescindere dalle singole cessioni e non può quindi essere individuata in un mandato. Il decreto legislativo 385 del 1993, infine, disciplina le norme di trasparenza delle operazioni di factoring esercitate dai mediatori creditizi.